TOMASO MONTANARI
ARTE
«La scuola dovrebbe essere il luogo del pensiero critico. Il luogo in cui si impara che un altro mondo è possibile». A Cagliari la voce, il cuore e l’anima di uno dei più grandi intellettuali del nostro tempo
Il suo parlare è torrenziale. Un’ora e mezza che è volata via tra racconti d’arte, rimbrotti a una classe politica che cambia i partiti e non gli spartiti, e un’intervista esclusiva che leggerete alla fine di questo pezzo.
Tomaso Montanari, l’uomo, lo storico dell’arte che più di chiunque altro ci ha fatto amare e riscoprire Michelangelo Merisi, il Caravaggio. Una monografia spalmata su 12 puntate, andate in onda su Rai 5 a partire dal maggio di quest’anno.
«Uomo gentile e garbatissimo», così Maura Picciau - Soprintendente Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Cagliari e le province di Oristano e Sud Sardegna - lo definisce nel suo prolegomeno.
Davanti a una sala gremita di un pubblico molto attento, insieme alla Picciau anche la giornalista Francesca Mulas.
Si chiama Racconti e paesaggio la kermesse che accoglie, tra i tanti nomi in cartellone, anche quello di Tomaso Montanari.
Il pretesto è anche quello di parlare del suo libro L’ora d’arte.
«È molto bello essere in Sardegna - apre subito Montanari - dove ho trascorso delle estati indimenticabili della mia infanzia, e dove, quando ho potuto, sono tornato con grande amore».
Uno sguardo e un sorriso verso la Picciau, che lo ha voluto invitare alla ex Manifattura Tabacchi di Cagliari e poi di nuovo verso la platea: «Oggi fare il sovraintendente come Maura Picciau - prosegue Montanari - è un lavoro difficile, mai difficile forse quanto oggi, nella storia italiana.
Perché nella cultura di questo Paese, chi fa il suo mestiere è stato additato come un nemico: un nemico dello sviluppo, un nemico della crescita, tutte parole sulle quali dovremmo avere un pensiero critico molto affilato, credo. E invece i soprintendenti difendono a mani nude, con pochissimi mezzi, con pochissime persone - sempre meno e con stipendi bassissimi - difendono il bene comune, ciò che abbiamo di più prezioso, ciò che non potremmo sostituire.
Proprio per questo essere qua era un dovere e anche un grande piacere».
Quale è la funzione di uno storico dell’arte nella società attuale?
«Lo dico con un po’ di vergogna. Gli storici dell’arte, oggi, dovrebbero imparare quello che hanno detto persone come Luigi Veronelli o Carlin Petrini, che a un certo punto ci hanno insegnato che non basta scegliere le cose giuste da mangiare, non basta andare in un’enoteca a bere il vino buono, per dirla usando le parole di Veronelli: “Bisogna camminare le cantine, bisogna camminare le campagne».
L’agricoltura, la produzione legata al paesaggio, al territorio, alla cultura materiale e l’idea che l’unico modo per conoscere questo Paese sia viaggiare. In fondo conoscere il patrimonio culturale italiano vuol dire conoscere lo spazio pubblico.
Vuol dire conoscere lo spazio della democrazia. Vuol dire conoscere lo spazio dove non si è clienti ma cittadini, e cittadini sovrani».
Articolo 9 della nostra Costituzione: “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”.
Quando usiamo la parola “Cultura” in questo Paese di che cosa stiamo parlando?
«Quando noi parliamo di cultura, e di articolo 9 della Costituzione, non parliamo di una fuga, non parliamo di un’evasione, ma parliamo di una forma di resistenza. La parola cultura è una parola chiave nella nostra vita, ma è anche una parola molto abusata e molto travisata».
L’Ora d’arte. Nel tuo libro ci sono anche opere che parlano di migranti e migrazioni.
«Oggi si parla, si torna per fortuna a parlare, di ius soli e ius culturae. Ma chi studia storia dell’arte sa perfettamente che siamo sempre stati italiani per via di territorio, per via di suolo: ius soli. Mai per ius sanguinis, e in Sardegna lo sapete bene.
Se ci facciamo le analisi del sangue viene fuori una nazione meticcia, una nazione fatta di incroci e di incontri.
Il più antico documento europeo su carta sta in Sicilia ed è la lettera di una regina normanna siciliana, scritta in arabo. Vorrei vedere quale purezza identitaria stiamo difendendo.
La stoltezza di tenere nelle classi il crocifisso, per rivendicare le radici cristiane dell’Europa. Che esistono, ma non sono le uniche. La storia dell’arte ci insegna proprio questo.
E insegna ai nuovi italiani, che a casa non parlano probabilmente la lingua italiana coi loro genitori, a imparare da subito la lingua dei monumenti».
«Dobbiamo insegnare la storia dell’arte che abbia la città come tema, non la singola opera astratta da un contesto. Il punto è insegnare un contesto».
Una pausa di qualche secondo e Montanari prosegue.
«Ma è doveroso fare anche un discorso più largo. Abbiamo sempre detto che la Storia, ed è vero, è una maestra di vita.
La conoscenza del passato ci consente di conoscere il presente. Ma c’è anche un’altra parte del discorso.
Ed è un discorso che ho imparato quando avevo 18 anni, e dal libro che in fondo mi ha cambiato la vita e mi ha convinto a fare lo storico - storico dell’arte - il libro di Marc Bloch: Apologia della storia. In questo libro Bloch dice che la Storia non è la scienza del passato, ma è la scienza degli uomini nel tempo. Ed è qualcosa che viene coltivato da chi ha un forte interesse per il presente.
Racconta che il suo maestro, Henri Pirenne, una volta che arrivò a Stoccolma, si vide accolto dagli allievi, tra i quali c’era anche Bloch, che gli proposero di andare a vedere le cose vecchie di Stoccolma.
E Pirenne disse: “Veramente so che c’è un municipio modernissimo e vorrei cominciare di là”.
Di fronte allo sconcerto degli allievi lui disse: “Ma io non sono un antiquario, amo la vita ed è per questo che sono uno storico”.
Un’affermazione che nel senso comune di oggi risulta spiazzante. E poi continuando Bloch, dice questo: “Chi non ha un forte interesse per il presente, non può diventare uno storico”.
Ma solo la volontà di comprendere il presente ci spinge ad interrogare il passato. Ed è l’amore per il presente che ci permette di capire il passato».
Domeniche gratuite al museo: cosa ne pensi?
«Io credo che i musei debbano essere gratuiti. I siti culturali dovrebbero essere ad accesso gratuito sempre.
Se lo Stato decidesse di rendere gratuiti tutti i musei statali italiani avrebbe bisogno di trovare dei soldi: quanti?
Quanto due giorni di spesa militare, su trecentosessantacinque.
Penso che l’idea delle domeniche gratuite sia un’operazione demagogica, sbagliata e di cui è difficile davvero spiegare la fallacia e la disonestà intellettuale.
È chiaro che è la cosa che ha messo Franceschini appena ritornato al Ministero. Ed è chiaro che è difficile andare in televisione a spiegare perché siamo contro la gratuità delle domeniche.
Ma se si vedono i numeri in alcuni siti, penso alla Reggia di Caserta, penso a Pompei dove hanno dovuto mettere il numero chiuso durante le domeniche gratuite, vedrete come di fatto il rischio concreto che si verifica in quasi tutti i luoghi è quello di non riuscire a vedere nulla.
I numeri sono talmente elevati che non esiste una possibilità di dialogo, di colloquio.
Diventa soltanto una specie di corsa con qualche selfie scattato.
Ed è una misura profondamente elitaria e profondamente demagogica, perché si fa passare l’idea che i grandi ricchi possano permettersi di andarci quando vogliono, e che per tutti gli altri ci sia soltanto la possibilità di una visione superficiale, di una visione che non produce conoscenza, di una visione brutale e consumistica.
Questa idea è un’idea degradante: La sfida non è fare le domeniche gratuite, la sfida è rendere gratuito sempre, il patrimonio che viene mantenuto con le tasse, con la fiscalità generale.
In questo Paese le tasse le pagano i poveri, non le pagano i ricchi. Far pagare il biglietto vuol dire farlo pagare due volte, e la domenica gratuita è la beffa unita al danno».
Di cosa parliamo oggi quando si parla di Street Art e di arte contemporanea?
«A mio credere la street art è la vera arte importante del nostro tempo. Perché non è un’arte che nasce per i musei: l’arte contemporanea che nasce per i musei è una grande aberrazione. Il museo è un luogo meraviglioso se è un luogo di ricerca, ma è un luogo dove l’opera arriva quando ha finito la sua funzione primaria. E l’idea che l’arte nasca direttamente senza funzione è, per me, un po’ inquietante. Un’arte che nasce dal basso, un’arte anonima, un’arte collettiva è un’arte che per certi versi recupera dei valori dell’arte medievale. In questo nuovo medioevo, in questa società neofeudale in cui siamo sprofondati, questa è un’arte che ripropone una dimensione collettiva che non si sottomette al mercato. La street art è davvero l’arte più carica di futuro del nostro tempo».
Che importanza ha oggi l’arte nel mondo della scuola?
«Credo che la scuola sia veramente il luogo chiave in cui, tutti i discorsi che noi facciamo, hanno il punto di caduta. La battaglia per il patrimonio culturale, direi anche la battaglia per il Paese, si perde o si vince nella scuola. Ed è la ragione per cui, con Salvatore Settis, abbiamo scritto un manuale per le scuole superiori, uscito da poco, che si chiama ARTE. Una storia naturale e civile. Perché pensiamo che dare uno strumento, che i colleghi potranno scegliere di usare se vorranno, per insegnare la storia dell’arte in modo diverso. Cioè insegnare la storia dell’arte, non sostituendo l’esperienza della scuola a un contatto diretto con il patrimonio, ma dare in mano agli studenti un vero libro e non un manuale - quei manuali che Bloch chiamava “strumenti di terribile sclerosi” - qualcosa che non venga voglia di buttare via dalla finestra o da un ponte dopo la maturità, ma che venga voglia di tenersi in casa. La storia dell’arte è sempre stata una materia “Cenerentola” - così la definiva Roberto Longhi nel 1944 - nell’ordinamento. La lingua dell’arte dovrebbe essere una lingua comune, una lingua che si impara a parlare sin da bambini. Io credo che la scuola non sia il luogo dove ci si avvia a una professione. Non è il luogo dove si diventa ingranaggi del mondo così come lo conosciamo, ma debba essere il luogo dove si apprende il desiderio di cambiarlo. La scuola dovrebbe essere il luogo del pensiero critico. Il luogo in cui si impara che un altro mondo è possibile».
A Cagliari per tanti anni l’Anfiteatro Romano è stato utilizzato per ospitare spettacoli. Cosa pensi dell’opportunità di utilizzare i siti archeologici per manifestazioni pubbliche come concerti o sfilate di moda?
«Sono convinto che ci siano tante ragioni per cui dovremmo avere dei dubbi su questo uso dei monumenti. Innanzitutto c’è la tutela, su cui non ci sarebbe da discutere nemmeno un attimo: non possiamo usarli per distruggerli, non possiamo consumare questo patrimonio così come stiamo consumando questo pianeta, per la banale ragione che ci sarà qualcuno che arriverà dopo di noi. Ci sono però anche delle ragioni più profonde che hanno a che fare, per esempio, con l’articolo 3 della Costituzione. La Repubblica dovrebbe rimuovere gli ostacoli all’uguaglianza e non celebrare la diseguaglianza. Il patrimonio culturale non può diventare il luogo dell’ostensione del lusso per pochi: è pornografica l’idea che il patrimonio serva a esibire la ricchezza di pochi in un momento in cui l’uno per cento dell’umanità dispone dei beni del novantanove per cento dell’umanità. È vergognoso! E poi non deve servire a vendere. Il patrimonio culturale non può diventare il luogo di propaganda del mercato. Non può essere contemporaneamente il luogo del pensiero critico e il luogo dove si creano i bisogni indotti, i bisogni che non ci sono, il bisogno della griffe, del marchio. Accanto a questi ragionamenti ce n’è uno però che è quello dirimente. Il patrimonio culturale non può diventare solo una “location”, cioè qualcosa che lo nasconde e lo requisisce. Questo lo si è visto a Pompei dove chi ha trasformato il teatro grande in un luogo di spettacoli, con delle strutture che lo occultavano e lo hanno danneggiato, si è visto condannare a quattrocentomila euro di danni dalla Corte dei Conti. Mi chiedo se la Corte dei Conti non abbia niente da dire anche sull’anfiteatro di Cagliari».
«Il patrimonio culturale è un luogo, uno dei pochi luoghi, dove noi impariamo che il mondo è stato diverso, che si è vissuto diversamente, che si è pensato diversamente. I musei, i monumenti, soprattutto i monumenti antichi ci parlano di una civiltà diversa dalla nostra, in cui possiamo specchiare, ma che ha parole, amori e odi diversi dai nostri. Conoscere il patrimonio culturale significa attingere alla forza per immaginare che il mondo possa essere diverso da com’è».
Tomaso Montanari in tre aggettivi:
Antipatico, inopportuno, partigiano
La tua vita in un film: a chi affideresti la regia?
Kubrick
Il brano musicale che farebbe da colonna sonora?
Via del Campo di De Andrè.
Se fossi un mese dell'anno?
Ottobre, il mese in cui sono nato
Cosa è IN cosa è OUT?
IN è l'interesse pubblico, OUT è l'interesse privato
Il tuo motto?
La libertà di espressione consiste nel dire quello che la gente non vuol sentirsi dire
Cosa è per te la musica?
É il tempo dell'anima
Un oggetto romantico.
Un tavolo
La parola che vorresti abolire dal vocabolario?
Valorizzazione
Il film che più di tutti abita il tuo cuore?
Ce ne sono talmente tanti... Un uomo per tutte le stagioni di Fred Zinnemann
Il libro che ti ha rapito.
Apologia della storia di Marc Bloch
Il tuo colore preferito?
Rosso
Il tuo numero portafortuna?
6
A chi faresti scrivere la tua biografia?
Poveretto (ride)... A chi farei scrivere la mia biografia? Marco Travaglio
La prima cosa che pensi associata alla parola “Passione”?
Amore
Come dovrebbe essere la tua casa delle favole nella quale abitare?
Sul mare
Nel tuo guardaroba non devono mai mancare:
Le scarpe Birkenstock
Sei felice?
Sì
La tua più grande paura?
La paura di non capire
Come ti vedi tra 10 anni?
Più vecchio
Arredamento: classico, rustico, moderno o...?
Più minimalista possibile, più vuoto possibile
Tre oggetti dai quali non ti separeresti mai.
Il computer, gli occhiali da lettura ormai (ride), e un libro, qualunque esso sia. Un libro di turno
Il tuo cartoon preferito?
Per ragioni di affettività, Goldrake
Una città dove ti piacerebbe avere una piccola dependance, un piccolo appartamento.
A Lisbona
Il tuo piatto italiano preferito?
La fregola sarda
Il tuo piatto estero?
Il baccalà portoghese
Un personaggio a cui daresti il Nobel?
A Greta Thunberg
Se fossi una delle quattro stagioni?
Autunno
La cosa che non sopporti nelle persone?
L'ipocrisia
Da bambino, cosa avresti voluto fare da grande?
Il botanico
Se fossi uno strumento musicale?
I piatti
Se fossi un animale?
Il mio cane: Anita
Quanto conta l'amore per te?
Tutto
Un'epoca storica nella quale ti sarebbe piaciuto abitare.
Il primo '600 a Roma, inevitabilmente
Il tempo passa e porta via con sè tante cose. Ma che cos’è veramente che non va mai fuori moda?
L'amore per la vita
Arrivi ad una festa. La sala è gremita di persone. Qual è la persona che attira di più la tua attenzione?
La più timida
Raccontaci un aneddoto curioso, un qualche cosa che ti hai vissuto nel mondo che abiti.
Io ho un rapporto difficile con le mostre. Non amo le mostre. Però penso che le mostre, quelle importanti, fatte bene e di ricerca, siano uno dei momenti più importanti.
Mi ricordo quando, a Roma, a una mostra su Bernini che ho curato - su Bernini pittore - e ho aperto la cassa della Costanza Bonarelli di Bernini.
Veniva da vicino Firenze e arrivava a Roma per mia responsabilità. Vedere emergere questo volto meravigliso di donna, di marmo, da quella cassa, è stato un momento che non dimenticherò mai.
Il tuo sogno nel cassetto?
Aprire un ristorante
Cosa è la vera felicità?
Cucinare al mare a piedi scalzi
Cosa è la vera bellezza?
La giustizia
L'ultima domanda: cosa è per te l'Italia?
Un progetto, che potrebbe ancora finire bene
Sardinia Fashion
22/11/2019