REZZA e MASTRELLA
GLI ARTIERI DEL TEATRO
TEATRO
“Da bambina mi vietavano di guardare i cartoon”, “È importante riconoscere la felicità quando arriva”, e ancora, “Abolirei quella parola di quando qualcuno si fa una fotografia da solo, girando il telefono verso se stesso”. Sono solo alcune delle risposte che Antonio Rezza e Flavia Mastrella ci hanno regalato in questa speciale intervista, doppia!
La loro è arte: Arte del Teatro. Ed è un mosaico di movimenti, espressioni fatte di aggrovigliate astrazioni dinamiche, dialoghi e contaminazioni sempre capaci di produrre nuovi episodi di emozione. Li abbiamo incontrati durante le prove al TEN di Nuoro del loro nuovo spettacolo AMISTADE. In questa intervista doppia.
Flavia e Antonio in tre aggettivi
F: Creativa. Scoppiettante. Silenziosa.
A: Longevo. Scattante. Pentito.
La tua vita in un film: a chi affideresti la regia?
F: A Franco Maresco.
A: Anche io l'affiderei a Maresco, ma dovendo dare una risposta alternativa direi a David Lynch.
Il brano musicale che farebbe da colonna sonora?
F: Un brano dei Pink Floyd.
A: Tragedy dei Bee Gees, perché c'è la tragedia dietro. E per me la tragedia è pane quotidiano.
Se fossi un mese dell'anno?
F: Giugno.
A: Marzo.
Cosa è IN cosa è OUT?
F: IN è La libertà. OUT è la rivalità.
A: IN è l'indipendenza, il non dover chiedere a nessuno. OUT il compromesso.
Il tuo motto?
F: Conoscere sempre quello che ti va di conoscere, a fondo.
A: Un aforisma di Lec, tra i più fulminanti: "Qualunque genio che non sa di esserlo forse non lo è". Ma avrei anche una risposta alternativa perché il mio motto migliore è: il motto ammazzato.
Cosa è per te l'Italia?
F: Un'invenzione degli americani.
A: Il posto che mi ha ingabbiato attraverso la padronanza del linguaggio. Il Paese dove sono nato per sbaglio. Il Paese che non riconosco mio. Non vuole essere una critica, voglio dire, non è il Paese dove ho deciso di nascerci, come non avrei deciso di nascere in nessun posto.
Questo sentimento che si fa sempre più largo del "patriottismo", mi sembra uno stato d'animo per cervelli rattrappiti. Io voglio essere di dove voglio io e non di dove vuole il Paese che mi ha ospitato, mio malgrado.
Io posso scegliere dove morire, ma non posso scegliere dove nascere. Quindi io non mi sento di questo posto.
Cosa è per te la musica?
F: Rapportata alla creatività è una forma di linguaggio, un arrotondamento dei concetti.
A: È tutto. Perché noi non facciamo teatro, non facciamo cinema; noi facciamo ritmo, percussione.
Un oggetto romantico.
F: I fiori.
A: Io! Io a tempo perso sono un oggetto romantico, come soggetto no. Come soggetto pretendo il romanticismo dagli altri.
La parola che vorresti abolire dal vocabolario?
F: Io abolirei i femminili "distorti", tipo: sindaca, ministra... Li trovo veramente agghiaccianti. E poi la parola femminicidio, come se non fosse un omicidio.
A: Abolirei qualsiasi neologismo che riesce a sporcare una lingua prestigiosa come la lingua italiana.
In questo momento abolirei questa parola orrenda - che nemmeno pronuncio - che serve per entrare nei posti: perché non c'è niente di verde in una coercizione.
Come abolirei quella parola di quando qualcuno si fa una fotografia da solo, girando il telefono verso se stesso.
Il film che più di tutti abita il tuo cuore?
F: Andrej Rublëv di Andrej Tarkovskij.
A: Arancia Meccanica.
Il tuo colore preferito?
F: Tutti i colori.
A: Rosso.
Il tuo numero portafortuna?
F: Più che un numero un formato: 13-18
A: Il 10, avendo una derivazione calcistica, questo è sempre stato il numero del giocatore più talentuoso.
La prima cosa che pensi associata alla parola “Passione”?
F: Viaggio.
A: All'innamoramento. Nonostante Agnelli dicesse che innamorarsi è da cameriere, penso che innamorarsi ogni tanto sia bello, anche se rende un po' stupidi. È bello provare qualcosa di irrazionale verso qualcuno.
Come dovrebbe essere la tua casa delle favole nella quale abitare?
F: È una casa tra le nuvole. Cerco di avvicinarmi a una dimensione favolistica in tutti gli spazi che vivo. E sono spazi tutti molto disordinati, creativi, molto colorati. E cambiano in continuazione.
A: C'ero quasi riuscito ad avercela: sul mare, col giardino... Che c'è il tramonto che non vedi.
Per me il tramonto è importante che esista, non devo poterlo vedere. E poi la casa delle favole è quella che descrive Lynch nel suo libro. È quella casa dove lavori e vivi. Quella con gli spazi per farci tutto. In realtà la casa delle favole ce l'ha Flavia, io ne usufruisco. Mi accontento della favola sua. (ride)
Nel tuo guardaroba non devono mai mancare:
F: Le matite. I colori.
A: Scarpe e occhiali da sole. Che sono le cose che mi piacciono di più.
Sei felice?
F: No.
A: No.
La tua più grande paura?
F: La vita. L'intolleranza. Fatico a vivere in questa realtà, è troppo ristretta.
A: La morte. La malattia.
Come ti vedi tra 10 anni?
F: Io non mi vedo tanto... Spero in uno sviluppo tecnologico fortissimo. Di potermi proiettare in un corpo anche meccanico e diventare Humandroid.
A: Come adesso, grosso modo. Perché mi alleno, sono disciplinato, cerco di mangiare bene, non mi drogo.
Se necessario farò l'autotrapianto, quando l'immagine dei capelli non mi piacerà più.
Ancora mi sopporto allo specchio. Avrò qualche dolore in più nell'anima, ma anche qualche virtuosismo in più.
Arredamento: classico, rustico, moderno o...?
F: Misto. In base al sentimento del momento.
A: Moderno.
Tre oggetti dai quali non ti separeresti mai.
F: Le pennine USB, un paio di scarpe comode e qualche biglietto dell'autobus in tasca per prendere al volo i mezzi.
A: Tre sono tanti. Dovrei pensarci un po'... Gli occhiali da vista. L'astuccio degli occhiali. La pezzetta degli occhiali.
Il tuo cartoon preferito?
F: Per me è difficile rispondere. Perché da bambina, sino ai 12-13 anni, mi vietavano di guardarli. Poi ho visto Goldrake. Quelli della Disney non mi piacciono: sono negativi. Devo dire che leggo più i fumetti come Dylan Dog.
A: Ce ne sarebbero troppi. Ti direi quello che segue in questo periodo mio figlio 12enne: I Griffin. Perché sono cattivi. Se tu guardi i cartoon di adesso sono molto più cattivi di quelli che guardavamo noi. È una cattiveria sana.
Trovo in questi cartoon quello che non trovo nel cinema, nella letteratura di adesso: una cattiveria che viene destinata ai più piccoli - e non capisco perché - che crescono stronzi!
Una città dove ti piacerebbe avere una piccola dependance, un piccolo appartamento.
F: A Milano. Per la sua vivacità culturale e per la sua vicinanza alla Svizzera.
A: Non lo so. Forse sceglierei tutte le città dove non sono stato. Rispetto a quello che avrei potuto ho viaggiato veramente poco. Però, con tutta la sua negatività, forse sceglerei New York. È una città dove l'essere strani è la normalità. Ti consente di essere strano tra persone strane senza che nessuno ti guardi con stupore. E questo mi sembra un privilegio.
Il tuo piatto italiano preferito?
F: La pasta con le vongole.
A: I calamari fritti.
Il tuo piatto estero?
F: La zuppa di crescione.
A: Non me ne viene in mente nessuno. Forse i calamari fritti all'estero.
Un personaggio a cui daresti il Nobel?
F: A Pasolini e poi lo darei a uno che lo ha già vinto: Elias Canetti.
A: Ce ne sarebbero tanti. Scegliendone uno rischierei di fare dei torti agli altri, ma se dovessi sceglierne solo uno, tra i vivi sceglierei David Lynch, per la sua libertà. Mi riconosco in quel tipo di libertà. Tra i morti lo darei a Pasolini.
Se fossi una delle quattro stagioni?
F: La tarda primavera. Poco prima dell'estate.
A: Anche se mi piace molto l'estate direi la primavera. Perché credo sia più bella l'attesa. Mi godo l'attesa dell'estate in primavera.
La cosa che odi di più nelle persone?
F: Il pregiudizio.
A: L'ipocrisia. La menzogna. Il non riconoscere il talento oggettivo. Ma anche il rimangiarsi quello che uno ha detto.
Da bambina/bambino cosa avreste voluto fare da grande?
F: Io volevo fare la fata.
A: Il calciatore, il poliziotto come mio padre, il pilota di Formula 1. Poi, però, ho ripiegato nel teatro pensando di finaziare le corse, ma il teatro non è il cinema.
Se fossi uno strumento musicale?
F: Uno che produce un suono secco: il triangolo.
A: Sicuramente uno strumento a percussione.
Se fossi un animale?
F: Un leopardo.
A: Una pantera nera.
Quanto conta l'amore per te?
F: Per me è un modo di essere. Ci può essere amore in ogni cosa, per gli altri.
A: Conta niente e conta tutto. È arbitrario. Perché spesso dipende solo da uno. Troppo spesso dipende più da uno che dall'altro.
Un'epoca storica nella quale ti sarebbe piaciuto abitare.
F: Sulla terra quasi nessuna epoca. Mi avrebbe fatto piacere aver vissuto su Marte quando c'erano le persone. Chissà.
A: Anni Cinquanta, Sessanta e Settanta. Era un periodo denso di personalità, di scrittori di registi... È bello avere talento in mezzo ad altre persone di talento.
Il tempo passa e porta via con sé tante cose. Ma che cos’è veramente che non va mai fuori moda?
F: Forse la moda stessa. La moda che non finirà mai di essere moda.
A: Quello che faccio. La virtù, probabilmente. La virtù di quello che fai. In un Paese, involontario come dicevo prima, che si regge sul talento sul genio del passato.
Arrivi ad una festa. La sala è gremita di persone. Qual è la persona che attira di più la tua attenzione?
F: La più bizzarra, sicuramente. La più eccentrica.
A: Quella che mi piace. Quella che è se stessa, quella più autentica.
Il tuo sogno nel cassetto?
F: Il sogno!
A: Il cassetto!
Cosa è la vera felicità?
F: La felicità dura un'ora, due. Poi ricadi nel normale. Una cosa che ti rende felice dopo un po' diventa normale. Ma la cosa più importante è che va riconosciuta. Perchè tante volte uno è felice e non se ne accorge.
A: Direi l'idea. Ti viene un'idea e sei felice. L'idea è la vera felicità, però dura giusto lo spazio dell'idea.
Raccontateci un aneddoto curioso, qualcosa che vi è capitato nella vostra vita professionale e creativa.
F: Mi trovavo con Antonio a Parigi, al centro Pompidou alla mostra di Roland Barthes. Si trattava di una mostra interattiva dove, per goderne davvero, dovevi toccare. Davanti alla macchina di Barthes, in esposizione, Antonio, preso da questo furore dell'interattivo, ha aperto lo sportello e si è infilato dentro la macchina. Sono scattati tutti gli allarmi, è arrivato un esercito di persone che gridava in francese per cacciarlo fuori dalla macchina.
A: Era il 1997, mi trovavo in Calabria, a Crotone, con Massimo Mancini.
C'erano delle fioriere tutte intorno al palco. Arrivato in teatro dissi: "mica posso fare lo spettacolo con tutte queste fioriere davanti, non riesco a vedere il pubblico.
Dovete toglierle". Nel momento in cui iniziai lo spettacolo vidi ancora una fioriera sul palco. Mi incazzai e dissi: "Non inizio lo spettacolo se non togliete quella fioriera che avete messo lì". Mi risposero: "Quella non è una fioriera, è un ragazzo focomelico che non sappiamo dove mettere per permettergli di vedere bene lo spettacolo". A me nel buio, nel vederlo così compatto, mi era sembrata una fioriera. Alla fine lo raccontai anche a lui e ci mettemmo a ridere.
Che messaggio dareste ai ragazzi di oggi che vorrebbero diventare attori di teatro? Quale è il segreto per diventare dei grandi attori?
F: Io credo che sia importante osservare, viaggiare, studiare, capire la realtà del presente, e soprattutto non fermarsi solo davanti a una tecnica. Se uno vuole fare davvero teatro deve fare anche cinema, deve scrivere, deve provarsi in più campi, per non diventare poi un manierista. Perché il manierista fa il gioco del potere, il creativo invece inventa. Ogni lavoro va affrontato come se fosse l'ultimo, ma non l'unico.
A: Il talento è innato. È importate raggiungere una indipendenza economica e non riconosere lo Stato come apparato di controllo.
Fare le cose solo per il gusto di farle, per appagare se stessi. Anche Kubrick diceva: "Prima di scartare l'idea di essere dei grandi registi fate un film di tre minuti". Chiunque non può escludere di avere talento. Tutti devono potersi mettere alla prova per vedere se potrebbero avere qualcosa di innovativo da dire. E poi non mettersi troppo presto in mano ad altri.
Concluderei aggiungendo: bisogna fuggire dalla strada che funziona appena inizia a funzionare. Se vuoi diventare Grande devi scappare da ciò che va bene, storicizzando quello che hai fatto - perché intanto rimane tuo - cambiando però direzione.
Sardinia Fashion
13/10/2021