MIA MADRE
ANATOMIA DI UN SENTIMENTO
I RACCONTI DI ANGELICA GRIVEL
Angelica si è stancata. Ne ha le scatole piene di sentirselo dire, di sentirselo ripetere. Qualcuno le ha puntato il dito contro. Qualcuno che, nel definire quel rapporto osmotico tra lei e sua madre, ha scomodato senza pudori l’aggettivo “inquietante”
Tu pensi che io non creda nell'unicità dell'essere?
Francamente, ne ho abbastanza, di questa nostra annosa faida a proposito del cordone ombelicale che mi avviluppa le ali.
Per tua norma, quella tra me e lei, è una relazione osmotica, arraffiamo a turno l'una dall'altra, non è vile simbiosi.
So bene di essere diversa da mia madre, altro da lei, nata evidentemente in un
contesto diverso, con un'indole diversa, con un temperamento opposto.
Ma io ho ancora bisogno di lei. Lei è il mio portolano d'elezione per potermi
orientare. Ho ancora bisogno di correre ad abbracciarla quando rincaso dopo la
scuola. Ho ancora bisogno di ringraziarla per il pranzo che quotidianamente mi
prepara. Ho ancora bisogno di aggiornarla riguardo la mia quotidianità, di far
divampare o di spegnere alterchi tra me e lei. Ho ancora bisogno di obbedire alla
sua sferza quando mi faccio soverchiare dallo sconforto.
Ho ancora bisogno di alzarmi tardi la domenica con la prospettiva rassicurante
delle nostre colazioni rinforzate delle dieci. Richi e il papà già fuori da mezz'ora in
bicicletta. E noi lì, che apparecchiamo il nostro Circolo Pickwick domestico,
ognuna sul proprio divano personale, col proprio vassoio, appagate. Un'alternanza
golosa di documentari d'arte, tè verde , barrette mandorlate e Petit, cineforum e
caffè, pane carasau e marmellata.
Ho ancora bisogno di avere consigli sull'abito da indossare per la scuola, di
chiederle il permesso per andare a mangiare una pizza con le amiche. Ho ancora
bisogno della sua mano ferma per tracciare l'eyeliner, sulla sua agilità per
annodarmi i capelli in una treccia simmetrica e robusta.
Ho ancora bisogno di sentire che è sveglia, che dorme, che piange in silenzio, che
ride di gola. Ho ancora bisogno di domandarle chiarimenti, esemplificazioni,
parametri. Ho ancora bisogno di vederla in relazione al mondo, confrontare i suoi
gusti con i miei, le sue scelte con le mie. Ho ancora bisogno di vedere il suo labbro
arcuato nelle più svariate forme, da stizzito a ammiccante, da sincero a divertito, da
seducente a melanconico.
Io sono un suo prodotto. Lei mi ha donato la vita, lei non mi tiene in catene o
imprigionata, come pensi tu. Cosa credi, che io preferisca evadere? Ti aspetti che
adesso ti scriva "Sì, hai ragione. Io non ne posso più della presenza ingombrante di
mia madre, voglio fare le mie esperienze e tenere nascosta una porzione del mio
cuore, mica lei può indagarmi sino all'apice, ognuno di noi custodisce in sé i suoi
piccoli segreti, perché non posso averli anche io. D'altronde, mentre lei è in quell'età
per cui fa discarica di sogni, io sono in quella fase in cui ho il cuore in continua
propagginazione"?
Tutta questa farsa del dare spazio agli impulsi, dell'ascoltare l'istinto, dell'essere
autonoma, poi, mi dà sui nervi! Io do fin troppa importanza ai miei impulsi, io sono
una persona eccessivamente empatica e sensibile, i miei sensi sono sempre in
agguato, ventiquattr'ore su ventiquattro, persino quando dormo non sono mai
veramente nella mia oasi desertica...perché io non ce l'ho, un'oasi desertica.
Non mi annoio mai. La mia testa non si annoia mai. E anche questa storia dell'umiltà mi urta.
Ma quale umiltà? Avrò anche un carattere che il cactus più spinoso mi fa un
baffo, acida come un kiwi acerbo, ma sono pronta ad accettare di buon grado i
suggerimenti che mi vengono dati...se questi consigli mi vengono offerti da persone
che abbiano conquistato la mia stima e che abbiano stima di me. Non è forse
vocazione a suscitare vocazione? Allora sì, aiutami, smerigliamo questo cuore
grezzo, facciamolo diventare "un diamante prezioso, autentico e splendente".
Io ho carattere e grinta da vendere. E sono un’individualista nata. Risulto
intollerabile, perché sono apodittica nel mio parlare per sentenze.
Ma quando non sentirò più il bisogno di provare nel cuore tutte quelle congestioni
nei confronti di mia madre, allora sarà dura. Probabilmente piangerò, sbatterò
qualche porta, come sono solita fare, digrignerò i denti in maniera ancora più
dolorosa, seminerò ciglia in una alopecia da stress. O forse fingerò pure che non sia
accaduto nulla e mi rimpiatterò in un angoletto a leccarmi ferite invisibili,
dissimulando smarrimenti e brama di braccia materne.
Ma accadrà, purtroppo. Lasciami vivere questi attimi che per me sono così preziosi
e che tu vedi così compromettenti. Ci sarà un giorno, se resterai nella mia vita, in
cui sarò io a lanciarti proposte come palle da bowling. Ci sarà una mattina in cui
sarò un po' su di giri e in cui mia madre non sarà la prima persona a cui pensare al
risveglio. Ci sarà un giorno in cui vivrò finalmente la mia vita, senza "quella piovra
appiccicosa" che è mia madre, e potrò finalmente fare ciò che vorrò: strafogarmi di
salsicce unte e olio di palma di tutte le fogge, vestirmi in maniera conturbante e
gigioneggiare con tutti i ragazzi potenzialmente carini in cui mi incoccerò sul
marciapiede, comportarmi da gattamorta leziosissima, tutta birignao e
ammiccamenti.
È questo ciò che si aspettano tutti, in fondo, dalla me del futuro, no? Auspico di
aver carattere e personalità a sufficienza da poter non fare mai le scempiaggini che
ho pronosticato. Perché la verità è che mia madre mi ha tirata su amandomi
ineffabilmente, tenendo leggerezza pur essendo censoria nei modi e coercitiva negli
intenti.
Mi ha insegnato che devo partire dall'eversione, intesa come libertà da, per poi approdare alla dedizione, intesa come libertà per.
Lei, tatuata nel mio cuore, ci sarà per sempre. La "morbosità" (ossia la sindrome
d'affetto per la madre) andrà via, prima o poi.
Ma il furore dell'amore inesausto per lei, scordatelo, mai conoscerà torpore.
Angelica Grivel
29/11/2016