L'INSOSTENIBILE LEGGEREZZA DEL NULLA

angelica grivel

I RACCONTI DI ANGELICA GRIVEL

So precisamente di avere una inclinazione al birignao, quando sono io a sentirmi a disagio, ma questa ragazza non apre un libro dai tempi di Cuore d’Inchiostro! In compenso è specializzata nell’esegesi dei ritrovi più popolari nei locali del litorale cagliaritano.

Avverto troppi individui appostati sul bagnasciuga. Alcuni in corsa lesta, altri muniti di lattine, altri ancora semplicemente immobili, nell'atto di scrutare.

Tento di zompettare tra queste figure, in modo da sorvolarle, ma non è facile impresa. Poi, la scorgo sopraggiungere nella mia direzione. Avviluppata in un telone liso, muove falcate larghe, dalla parvenza mascolina. Una ciocca ribelle di madidi capelli rosa corallo fa capolino dall'asciugamano. Non male, penso, nell'osservare quel buffo ciuffo. La tinta rosa sui capelli da sempre mi va a genio, trovo che sulla pelle terracotta di lei assuma un tratto particolarmente artistico, non necessariamente bello. Fa l'effetto straniante di un gelato industriale fragola melone.

Un abbraccio umidiccio ci intreccia per un momento, per poi dissolversi in una lunga passeggiata verso una zona della spiaggia che a me non è nota. L'androginia della sua figura mi sorprende e mi rimbalza, ma, d'altra parte, penso che forse a lei possa risultare irritante il mio vezzoso fare passerella sulla sabbia, dunque decido di assumere un passo più deciso, che si attagli maggiormente anche a lei. Non vorrei che non si sentisse a proprio agio in mia compagnia. So precisamente di avere una inclinazione al birignao, quando sono io a sentirmi a disagio. Mi accorgo della mia tensione dall'uso smodato e ingiustificato di nomignoli buffi coi quali la nomino.

Tento un approccio comunicativo, credo che possiamo dirci qualcosa che non sia troppo banale. Vorrei confidarle qualche mia vicissitudine esistenziale, commentare con lei serie questioni di cuore, oppure dare inizio ad un dibattito riguardo le ultime pagine da noi rispettivamente lette: d'altronde, amiamo tanto leggere entrambe. Passione pura e simbiotica, si direbbe dalle sue ultime mail.

Ogni aspettativa è puntualmente disattesa. No, nessun esistenzialismo o club letterario. La notizia dell'ultimo minuto mi caricatura il volto in un grugno sbigottito: non apre un libro dai tempi di Cuore d'Inchiostro, ma in compenso è specializzata nell'esegesi dei ritrovi più popolari nei locali del litorale cagliaritano. Io non ne so nulla. Quindi, di tanto in tanto, le scaglio qualche domanda su un particolare dettaglio delle luci psichedeliche o su un eventuale barista carino. Per quanto riguarda l'illuminazione, mi viene detto che semplicemente non ce ne sia, se si esclude qualche riflettore mobile al neon. Di baristi carini, poi, neppure l'unghia.

Mi rassegno ai suoi responsi; non mi appagano, certo, ma non sono neppure annoiata. Anzi, da certi punti di vista, la trovo pure divertente, così diversa da me. Ma in lei non vedo gioia. Percepisco nel suo gesticolare o ridere o parlare frenetici, un profondo senso di malinconia, non so, come se sentissi echeggiare una mestizia segretamente occulta, irreversibilmente radicata in lei. Non indago oltre, penso che potrei disturbarla, con il mio sguardo forse troppo inquisitorio. Non la emulo, tuttavia, quando la sento bofonchiare critiche maligne e allusioni poco simpatiche nei confronti di una qualsivoglia persona che cammini innocentemente sulla spiaggia.

All'improvviso, fa per accendersi una sigaretta. Me ne offre una, ma, manco a dirlo, la declino. "E dai, provala! Devi essere libera!"ride lei. "È proprio perché sono libera, che declino, Giuggiola." E poi, accade. Nell'increspare le esangui labbra, non posso fare a meno di notare tre crosticine bianche. Non c'è niente da fare. La maledizione del dettaglio trucido torna ad aggranfiarmi. Una predisposizione genetica materna: accogliere inesorabilmente il dettaglio ributtante, che in ogni situazione fa inevitabilmente capolino, e fa evaporare ogni forma di rispetto o timor reverenziale. Che si tratti di odori, di peli superflui (soprattutto in narici ed orecchie), cispe, forfora sulle sopracciglia, salivazione eccessiva raggrumata agli angoli di ignare bocche: devo dar fondo a tutte le mie riserve di empatia per riacquistare un briciolo di affetto. Va beh, mi concentro sulle mie ciglia, che quando sono sotto stress tendono ad abbandonare il campo, in una alopecia che mi dà uno sguardo acquoso. Inforco immediatamente gli occhiali da sole e mi schermisco.

Però mi pare molto sgradevole questo suo liberare il dito indice per ammiccare a una pancia estranea non troppo contenuta o a un paio di gambe non proprio flessuose in movimento. Ci tuffiamo, tuttavia. Attendo la fine dell’immersione, con un prepotente desiderio di far rientro a casa. Sul percorso di ritorno, uguale ma opposto a quello precedente, tacciamo entrambe, forse consapevoli dell'inadeguatezza dell'incontro.

Finalmente, lei si volta definitivamente, dopo avermi detto ‘ciaoo, a presto!’ e avermi stretta in un abbraccio salmastro. Per qualche secondo tengo con me questo abbraccio salino. Poi, lo sprigiono, e, mentre osservo la sua persona smussarsi tra la moltitudine, penso ad un addio.

A questo punto, mi domando: che sia io, il vero impiastro, incapace di incastonarsi musivamente con qualsivoglia altro essere umano? Che abbia semplicemente sbagliato secolo o pianeta d'appartenenza?

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