L'ISOLA DELLE STORIE XIV
GAVOI - FESTIVAL DELLA LETTERATURA
Se la vita è l'arte degli incontri, allora L'Isola delle Storie è uno dei luoghi più belli dove questi possano accadere.
Il XIV Festival di Gavoi, sessione 2017, si è concluso. Questa è stata un’edizione caratterizzata dall’incertezza climatica, soprattutto nei quattro giorni a cavallo tra giugno e luglio.
Ho partecipato a tantissime edizioni del festival e non ne ricordo altre così. Le mattinate iniziavano fresche e umide, agglomerati di nuvole facevano la loro comparsa nel cielo, avanzavano scaricando talvolta degli scrosci, e passavano oltre.
Sprazzi di sole s’intervallavano, in modo da non far capire mai se fosse meglio indossare una giacca e prendere un ombrello, o lasciare quest’ultimo e avventurarsi per le strade di Gavoi in maniche corte: perché quando Phoebus usciva la temperatura saliva, e di buon grado.
D’ogni modo, nuvole e pioggia non hanno inficiato la buona riuscita della manifestazione, vuoi perché talvolta sembravano attendere la fine di un evento prima di scatenarsi, vuoi perché la gente rimaneva fiduciosa al suo posto fino a che gli autori di turno non avevano finito di parlare, e vuoi perché l’organizzazione aveva sempre pronto un luogo riparato in cui ripiegare, anche se meno capiente.
Per quanto riguarda il programma di quest’anno, era in accordo con il clima: vario, per ogni tipo di gusto.
Purtroppo non ho potuto assistere al preludio di sabato e domenica dieci e undici giugno, quindi posso solo dire dei quattro giorni su menzionati.
Un vero peccato, perché oltre all’esposizione intitolata L’invenzione della Pietra sarda, che avrei voluto vedere, c’era anche l’incontro con Cristian Mannu (giovane e interessante autore nostrano) e la nota autrice Milena Agus, scoperta e osannata in Francia ed esportata di ritorno in Italia; perché come spesso ci accade, siamo così distratti che le nostre bellezze ce le devono far vedere gli altri.
Questo mi fa pensare a un’altra nostra grandissima scrittrice, Savina Dolores Massa, anche lei di recente pubblicata in Francia.
Anche all’incontro con Maria Giacobbe (altra autrice nostrana adottata all’estero) e Chiara Valerio (autrice brillante e simpaticissima) il giorno seguente, mi sarebbe piaciuto andare...
Giovedì 29 si è aperto ufficialmente il festival con Massimo Zamboni, storico membro dei CCCP e dei CSI e scrittore.
Il suo è un racconto cantato e musicato di un’epoca, ma è anche uno spaccato di un paese, la Germania, d’una generazione giovanile (quella di Zamboni in quegli anni) e di un dato momento storico. Un racconto fatto d’impressioni sonore, di atmosfere, anche se non di facile fruizione, perché lontano da certe sonorità leggere assuefanti cui siamo abituati dalle radio (esclusa Radio 3).
È stato un racconto sofisticato, da apprezzare in silenzio, inteso a proiettare il pubblico altrove. Non tutti erano in animo per capirlo, o aperti a un simile viaggio intimistico, ma chi l’ha fatto ha potuto godere di un’esperienza unica.
Venerdì le atmosfere cambiano.
Ogni incontro è preceduto da una lettura tratta da un romanzo della grande scrittrice britannica Jane Austen.
Quindi, un omaggio a una scrittrice donna, e le donne sono state grandi protagoniste di questa edizione del festival. Infatti,
nel primo appuntamento sul Balcone vediamo Maria Ida Gaeta e Igiaba Scego.
Quest’ultima rappresenta una scelta cosmopolita, aperta, volta alla bellezza delle commistioni tra culture diverse.
Premiata da una Igiaba Scego che ha coinvolto il pubblico con la sua storia, emblema di quella di tanti migranti, e intesa a una maggior comprensione reciproca.
Tutto il suo lavoro, come lei ha confessato, è inteso a unire e far conoscere popoli diversi e simili allo stesso tempo, perché ci sono sempre punti di comunione e di somiglianza
tra i popoli, che sia un desiderio di libertà, di riscatto, un bisogno d’amore, quello di vedere i propri figli o se stessi realizzati, o il semplice avere una speranza per il futuro.
Credo che quello con Igiaba Scego sia stato uno degli incontri più apprezzati del festival, ma ce ne sono stati degli altri.
In Venerdì di fuoco, a mezzogiorno, c’è stato l’evento di Giuseppe Antonelli che incontrava Silvio Perrella e il polacco Antoni Libera,
tema centrale del discorso era il “dire”, e
Antonelli è riuscito egregiamente a coordinare l’incontro. In contemporanea c’era il poeta Valerio Magrelli alle scuole elementari che parlava di Sigfrido.
La saga dei Nibelunghi credo di averla letta alle medie ed è un libro che mi aveva fortemente impressionato, peccato non aver potuto assistere anche a quell’incontro,
ma davvero il programma era così ricco da avermi costretto a delle scelte: è prerogativa della vita metterci costantemente di fronte a delle scelte, così, visto che la saga
dei Nibelunghi la conoscevo già, sono andato a sentire Libera e Perrella.
Alle quattro mi sono diretto al giardino comunale, svogliato in quanto c’era un autore emerso dal programma televisivo Pekino Express, che ritenevo non interessante.
Mi sono dovuto ricredere. Marco Cubeddu ha raccontato della sua esperienza televisiva in modo onesto e simpatico, senza abbellire nulla e svelando i retroscena della trasmissione e del suo agire.
Per questa sua onestà credo sia stato apprezzato dal pubblico, anche perché è riuscito a far capire come nemmeno la finzione televisiva riesca a cancellare la grande
esperienza umana del viaggio, quella del conoscere realtà tanto lontane e vicine alla nostra, di miseria e povertà, o di ricchezza e ipocrisia.
Alle cinque e mezzo c’è stato l’appuntamento Matteo Bianchi, Andreas Gruber e Tommaso Giagni.
Francesca Murru leggeva un brano di Jane Austen, dietro di lei faceva da scenario pop un’opera del Bam che sembrava proiettarsi sul palco acquisendo proprietà tridimensionali. Le nuvole si sono presto addensate nel cielo, e mentre Tommaso parlava un poco impacciato (è un autore molto giovane e gli si perdona la timidezza), ha iniziato a piovere. Il pubblico non si è mosso, qualcuno ha aperto l’ombrello, ma la gente è rimasta al suo posto fino alla fine dell’evento. L’incontro successivo veniva spostato nel salone parrocchiale, dove purtroppo lo spazio non era sufficiente rispetto al pubblico che vi voleva partecipare.
Forse è vero che c’era meno gente quest’anno, ma solo in parte.
La pioggia ha certo spaventato qualcuno, però tutti gli incontri sono stati seguiti da un folto pubblico.
Era strano, perché talvolta per strada si vedeva poca gente, ma questa appariva improvvisamente al momento opportuno.
Pareva, a parte quell’incontro serale spostato, che il tempo aspettasse la fine degli incontri per far andare la pioggia, che si riversava in strada per pulirla dalla polvere e dar sollievo alla terra, arsa dalla siccità.
Arcobaleni doppi apparivano nel cielo la sera, in corrispondenza del lago stretto tra le montagne e l’aria era fresca, corroborante.
L’Isola delle storie rappresenta un’occasione unica nel panorama isolano per far parte di un qualcosa di più grande e profondo.
Per conoscere gente dal mondo e far conoscere noi e l’isola dal resto del mondo. Per le strade lastricate del centro storico di Gavoi si possono incontrare persone
da ogni parte del globo terrestre. Possibilità uniche di conoscere gente che non si vedrebbe mai altrimenti.
Passeggiando per i viottoli vedevo persone come un Gristolu che non faceva un passo senza salutare qualcuno, che fosse di Gavoi, di Roma, Milano o di chissà quale angolo
sperduto del pianeta. E nel vedere questo, Gavoi, mi sembrava un grande paese/mondo.
In persone come lui vedevo dei novelli Proust intenti a osservare il mondo ogni volta con occhi diversi.
E Gavoi, con le sue strade lastricate, le case in pietra, il lago vicino, le montagne e i boschi rappresenta la cornice perfetta per far incontri, vedere e conoscere.
Così, sabato mattina mi sono avviato verso la piazzetta in cui si svolge l’incontro del “balcone” animato da un’incontenibile allegria.
Michela Marzano dialogava con Maria Ida Gaeta, a tratti il sole picchiava (ho visto Igiaba Scego che per sfuggirgli si spostava un passo
alla volta lungo la piazza, inseguendo l’ombra fin nella strada sulla sinistra).
Michela Marzano raccontava della sua vita: dai suoi successi lavorativi ai suoi problemi personali, scendendo molto a fondo nel suo vissuto.
Quasi confidandosi con il pubblico, come a far vedere che dietro ogni cosa apparentemente perfetta c’è una sofferenza, e arrivando a spiegarci come superarla,
attraverso la sua esperienza. Quell’incontro era iniziato con un omaggio a Giulio Angioni, letto da una bravissima Marta Proietti, ed è stata lei nel rendere così vivo Angioni, a farci superare la sofferenza della sua scomparsa…
Alle dodici sono andato ad assistere a Mezzogiorno di fuoco, perdendomi Chiara Valerio che leggeva Peter Pan;
mi è dispiaciuto perché mi hanno raccontato che è stata eccezionale, e avrei voluto vederla. Ho seguito l’incontro basato sul “non dire” tra Giuseppe Antonelli
che presentava Erling Kagge (con il suo libro sul silenzio) e Alessandro Zaccuri.
Lo ammetto, dopo quell’incontro sono andato a sentire Luciana Littizzetto. Tantissima gente è confluita nel giardino comunale per ascoltarla e lei è stata come ci si aspettava, le solite battute, tante risate e qualche spunto di riflessione, nella sua lunga carriera di comica la Litizzetto sostiene di non aver mai fatto comicità sui malati, sulla sofferenza altrui, denotando almeno una sua deontologia personale, un’umanità che a volte nei comici dimentichiamo o non vediamo. Non la seguo in tv, ma qui mi è piaciuta.
Mi sono perso qualche incontro, lo confesso (d’altronde non credevo che avrei scritto sul festival).
Sono andato però a seguire Chiara Valerio e il poeta Valerio Magrelli, considerato uno dei più grandi poeti viventi in Italia, e sono sicuro che lui sia d’accordo. Magrelli ha parlato lungamente di se stesso e delle sue poesie svelandone origine e complessità.
Incontro molto interessante è stato quello con l’astro nascente della letteratura irlandese Paul Lynch
(gli argomenti del suo libro e le implicazioni umane mi sono sembrate molto profonde e ricche). Con lui Matteo Bianchi, e a presentare, Alessandro Zaccuri.
Ed eccoci arrivati alla domenica, giornata in cui si omaggiava Zygmunt Bauman, autore che nella sua definizione della società liquida ho avuto modo di apprezzare, anche se pure lui era diventato – alla fine – un prodotto della società che criticava. Anno dopo anno i suoi libri continuavano a uscire aggiungendo poco a quanto aveva già enunciato nei precedenti, ma vendevano come se fossero novità. Di sicuro Bauman lo sapeva, i suoi libri erano diventati un po’ come quei prodotti tecnologici che ogni anno vengono aggiornati in modo che il consumatore, per non sentirsi indietro rispetto agli altri consumatori, è obbligato a comprarli. Però Bauman è stato sicuramente, e forse anche in questo, un grande osservatore di quest’epoca, uno che questa società l’aveva capita profondamente e prima degli altri. Che ne abbia utilizzato a suo vantaggio i difetti non è poi così grave.
Sul balcone, la domenica, Gaia Manzini ci ha parlato dei suoi libri, delle sue esperienze di vita e di tanto altro.
A mezzogiorno di fuoco: Serge Latouche e Maurizio Zaccaro, presentati da Antonelli, hanno parlato del “rivelare”.
Zaccaro in particolare ci ha anticipato i temi del suo documentario sulla Felicità umana, che ho poi visto nel pomeriggio.
Stupendo documentario, toccava concetti molto profondi e includeva stralci di interviste a tante grandi personalità, tra cui Pepé Mujica,
l’ex presidente Uruguaiano che con la sua filosofia è entrato nei cuori di miliardi di persone in tutto il mondo. Le sue parole sono state tra le più belle e applaudite.
L’ultimo incontro a cui ho partecipato è stato quello con Clara Sanchez, autrice internazionale di levatura, apprezzata sia dal grande pubblico che dai critici.
Il suo è stato uno degli incontri più divertenti del Festival- Marcello Fois ha dovuto sostituire all’ultimo Chiara Valerio e si è dimostrato all’altezza del compito,
conosceva bene i romanzi della Sanchez e assieme a lei ne ha argomentato trama e stile. La Sanchez, presentatasi con il volto dipinto di nero, con una “mascara”,
si è aperta a confidenze, scherzi e battute, mostrandosi nella sua essenza più vera, almeno così ci ha fatto credere, perché come ha detto, con la maschera sentiva
di poter essere più autentica.
LE POLEMICHE
Ho sentito di alcune polemiche sul Festival che non sono riuscito a capire appieno.
Certo, tutto è migliorabile ed è impossibile accontentare tutti, ma io che partecipo da tanti anni a questa manifestazione ho sempre trovato più meriti che difetti.
L’accusa che nel Festival manchi il sardo e gli autori sardi mi pare abbastanza faziosa.
Certo, pur non essendo per il campanilismo, penso anch’io che un festival organizzato in una determinata area geografica debba essere particolarmente attento a quanto quel territorio offre, sotto tutti i punti di vista; e infatti il Festival di Gavoi lo è sempre stato.
Autori, artisti e musicisti isolani hanno sempre trovato uno spazio riservato, e non piccolo, un’attenzione premurosa da parte di tutto il comitato organizzativo.
L’unico limite è un limite funzionale e di qualità.
Se per esempio un autore è pubblicato da un editore che ha stampato solo dieci copie del suo libro, non ha senso portarlo all’Isola delle storie, e nemmeno se quel libro è illeggibile e l’autore ha pagato per pubblicarlo.
O almeno, da esterno credo siano queste le uniche discriminanti.
Inoltre, polemiche sulla non inclusione della lingua sarda nel festival mi paiono sterili anche perché i primi a non scrivere in sardo sono gli scrittori sardi stessi (anche se a volte non per scelta loro).
Sbagliano? Non so, ognuno si esprime nella lingua che sente di più, e forse è di noi sardi avere delle remore nei confronti della nostra stessa lingua e cultura. È una colpa?
Magari sì, ma forse siamo stufi dell’isolamento e ci vogliamo sentire, di più, parte del mondo in cui viviamo.
E comunque a dire il vero di sardo all’isola delle storie se ne è respirato in tutti i modi, dalle canzoni in gallurese di Daniela Pes (con la sua meravigliosa voce) che ha recuperato delle poesie di don Gavino Pes accompagnata dal bravo Andrea Pica, alle voci dei ragazzi del conservatorio Canepa di Sassari (per gli amanti della lirica), al duo jazz isolano dei CarGus.
Davvero crediamo che la musica di tutti questi artisti non sia il frutto della fascinazione del sardo e della nostra isola, delle nostre tradizioni, anche musicali?
Io vi dico che invece si sentiva.
E comunque, anche la vista era soddisfatta, con la mostra degli artisti del Bam e le effigi da loro prodotte dei grandi sardi (Antonio Gramsci, Emilio Lussu, Grazia Deledda e Salvatore Satta).
Inoltre, in ogni punto di ristoro e ristorante si mangiavano prodotti tipici e la Sardegna la potevi perciò anche respirare nei profumi e sentire nei sapori; e ancora vedere nei disegni del disegnatore delle locandine del festival, che ricordano i colori e la semplicità di certe ceramiche sarde.
E poi, nella partecipazione dei bambini alle varie attività proposte, insomma, ce n’era per tutti.
Questo Festival ci ha regalato la bellezza di Gavoi, la pioggia, doppi arcobaleni e l’accoglienza delle persone. Il loro impegno affinché tutto andasse bene. Perciò nel complesso si può dire che è stato vario ed equilibrato, con una giusta dose di autori e artisti isolani, nazionali ed esteri, dove Igiaba Scego – se mi consentite dirlo – si poneva come trait d'union tra la Sardegna, l’Italia e il resto del mondo.
Claudio Piras Moreno
19/07/2017