LIDIA RAVERA
L'ISOLA DELLE STORIE
Raccontare il Festival in pillole. Pillole da tenere sempre sul comodino. Pillole da tenere in tasca. Pillole da scartare golosamente e succhiare come giuggiole vitaminiche per fuggire dall’inedia del pensiero e della ragione. Pillole come viatico e stimolo alla riflessione.
Partiamo, in questa prima puntata, con le riflessioni più belle di Lidia Ravera per proseguire poi con gli autori che, nell’edizione numero 12, ci hanno colpito in modo particolare. Per raccontarvi, in un modo diverso, uno dei festival letterari più affascinanti e importanti della nostra bellissima Italia: L’Isola delle Storie.
Gavoi. Venerdì 3 luglio 2015, ore 10.35. La piazza trabocca di pubblico.
Nel fioritissimo balcone di S’antana ‘e susu, la giornalista Anna Piras incontra Lidia Ravera.
La scrittrice piemontese è qui a Gavoi per presentare il suo (trentesimo) libro Gli scaduti.
«Vorrei esprimervi il mio entusiasmo e il mio stupore. Da 40 anni vado in giro presentando i miei romanzi – ormai ogni scrittore è un commesso viaggiatore – e non mi era mai successo di parlare da un balcone. Quindi il fatto che esistano, anche in tarda età, delle prime volte è già una cosa di cui vi sono profondamente grata.
In più, alle dieci e mezza di un giorno feriale c’è moltissima gente. E anche questo provoca stupore. Guardo lassù, vi guardo avidamente. Cerco di inquadrarvi tutti nel mio campo visivo. Sono contenta e sorpresa. Ma soprattutto sono contenta di essere sorpresa».
«Il PMVP, Periodo di Massima Valorizzazione Personale, va dai 25 ai 45 anni. Dai 45 ai 60 sei tollerato, alle donne è vietata la chirurgia plastica, sono vietati i matrimoni intergenerazionali. E la massima distanza che può intercorrere tra l’età dell’uomo e della sua compagna sono 10 anni. E già non sono ben visti, come a 25 anni vieni attenzionata dallo Stato se a quella età non hai ancora partorito un cittadino. Quindi è una società simpaticamente liberticida in cui a sessanta anni vieni allontanato».
«La rottamazione si può applicare alle cose, non alle persone. Perché sotto la signoria del tempo ci siamo tutti. Un geriatra è come un oncologo col cancro: cura qualche cosa che è comunque la sua malattia. Il fatto che la vita abbia un termine è la nostra malattia sin da quando nasciamo. È un egoismo stupido quello che disprezza i vecchi. Quello che li considera indegni dello sguardo attento del desiderio».
«Ai miei tempi non c’era Wikipedia che sembravi intelligente digitando due cazzate».
«A noi la storia del consumismo non piace. È riduttiva è piccola. Noi non pensiamo che la relazione umana, l’amore, siano appannaggio di 90-60-90, capello lungo, la bocca siliconata. Non è così! Finché c’è vita noi siamo protagonisti della nostra vita. Noi non ci togliamo gli anni, noi non ci stiriamo la faccia. Noi non ci vergogniamo di essere nati prima».
«Bisogna ripensare alla società. Bisogna ripensare la società a condizioni mutate. Se non si muore più a 60 anni ma a 90, quei trent’anni lì devono entrare a far parte dell’organizzazione sociale.
Non possono essere lasciati sulle spalle del singolo individuo.
È troppo dura invecchiare da soli senza nessuno che si occupa di te.
E allora se la politica non fa questo, cosa fa? Se non lavora per star dietro al cambiamento, ricostruendo sempre una serenità collettiva, che cosa fa? Che cosa fanno?».
«L’empatia dovrebbe essere il motivo per cui uno sceglie di far politica nella vita».
«Oggi scriviamo tutti. Che cosa è successo? Mi sono detta. È successo che le persone scrivono, sui social network, ovviamente: blog, chat, sms, tweet, è tutta scrittura. Ma loro, noi, voi siete convinti di parlare, ed è per quello che scrivete. Pensando che sia una parola orale. Ma in realtà resta. La parola scritta è destinata a durare: seducente e seduttiva».
«La seduzione della parola dura molto di più di quella del corpo. Quando faccio corsi di scrittura, alle ragazze dico sempre: “Imparate a sculettare col cervello”».
Rivolgendosi ad una maestra che poco prima le pone una domanda sulla “buona scuola” (il piano del Governo sulla riforma della scuola) Lidia Ravera, dopo averle risposto, conclude:
«Lei che fa la maestra, veramente, la prego, gratifichi i bambini che scrivono. Gli dia dei premi. Li baci. Perché le nostre sicurezze si formano nella scuola elementare. Dopo è già tutto perduto. Fare attenzione alla creatività infantile. I bambini, finché la scuola non li rovina, sono dei poeti e degli esseri creativi meravigliosi. Sanno riempire la noia di invenzioni».
Sardinia Fashion
10/06/2016